La vicenda della monaca di Monza rispecchia molto da vicino il valore iniziatico espresso dalla Papessa, Arcano II dei Tarocchi. Come ho già raccontato in un'altra pagina di questo sito, la figura della Papessa simboleggia il controllo delle pulsioni sessuali, che è necessario conseguire se si intende realmente percorrere la Via del Risveglio. La storia della monaca di Monza è quella di una donna che, non essendo riuscita a gestire tale pulsione in maniera consona al ruolo da lei ricoperto, ha dovuto pagare il prezzo della propria debolezza: la durissima pena che le è stata inflitta, tuttavia, le ha permesso di riscoprire l'immensa forza interiore di cui, probabilmente senza saperlo, era dotata.
Marianna de Leyva (1575-1650), figlia primogenita di un nobile spagnolo, conte di Monza, a tredici anni fu costretta dal padre a entrare come novizia nell'Ordine di San Benedetto; a sedici anni pronunciò i voti e divenne suor Virginia Maria, dal nome della defunta madre. Alcuni anni dopo, però, intrecciò una relazione - destinata a durare molti anni (dal 1598 al 1608) e a destare grande scandalo - con il conte Gian Paolo Osio. Da questa storia nacquero almeno due figli, un maschio nato morto o deceduto durante il parto e una bambina, Alma Francesca Margherita, che Osio riconobbe e che venne affidata alla nonna paterna. L'amante di suor Virginia, che già in precedenza era stato condannato per omicidio, uccise tre persone per nascondere la tresca. Scoperto e condannato a morte in contumacia, fu poi assassinato da un uomo ritenuto suo amico. L'arcivescovo Federico Borromeo, messo al corrente della vicenda, ordinò un processo canonico nei confronti di suor Virginia, al termine del quale la donna fu condannata ad essere “murata viva” nel Ritiro di Santa Valeria. Sopravvissuta alla detenzione, durata quasi quattordici anni, la monaca di Monza rimase a Santa Valeria fino alla morte.
La monaca di Monza ha acquisito grande notorietà soprattutto grazie al romanzo “I promessi sposi”, in cui il Manzoni ha rievocato la scandalosa vicenda cambiandone però alcuni aspetti, a partire dai nomi dei due amanti, divenuti qui Egidio e suor Gertrude. Alessandro Manzoni descrive la monaca di Monza come una figlia del suo tempo, che obbediva in tutto e per tutto ai precetti della religione così come alle leggi dell'orgoglio di casta: una creatura debole e “sventurata”, insomma, fatalmente indotta ad accettare la logica dei suoi torturatori e ad assorbire la sdegnosa sostanza spirituale del padre, alla cui volontà non seppe mai opporsi, se non attraverso una sterile ribellione interiore. Manzoni prova pietà per questa giovane donna, che nella finzione romanzesca appare priva di una coscienza morale e dell'energia necessaria a realizzare la propria salvazione. La realtà storica, però, ci racconta qualcosa di diverso, perchè suor Virginia sopravvisse per ben quattordici anni ad una detenzione realmente disumana, in condizioni igieniche e psicologiche inimmaginabili: venne rinchiusa, infatti, in una minuscola stanzetta quasi completamente priva di comunicazione con l'esterno, ad eccezione di una feritoia che permetteva il ricambio di aria e la consegna dei viveri indispensabili. Parlare di debolezza a fronte di una simile impresa mi sembra davvero azzardato! La monaca di Monza ha dovuto affrontare una vera e propria morte in vita, ma è indubbio che abbia brillantemente superato l'ardua prova.
Chiunque sia la Papessa, sono convinta che la sua storia sia molto simile a quella di suor Virginia. Non a caso, nei Tarocchi di Marsiglia, la pelle della Papessa è completamente bianca: questo colore, infatti, evoca il gelo della morte, in cui è necessario immergersi per poter, infine, vedere che cosa si cela dietro il Velo dell'Illusione...