Arcano senza numero: Il Matto... o la follia di Dioniso

Nel corso degli ultimi mesi ho dedicato un articolo a ciascuno degli Arcani Maggiori seguendone l'ordine numerico: sono infatti partita dal tavolo del Bagatto (Arcano I) per giungere, dopo un lungo cammino, fino all'isolotto illuminato dal Sole (Arcano XIX). La logica vorrebbe che comparisse ora l'Angelo del Giudizio (Arcano XX), ma io ho invece deciso di sparigliare le carte e di presentarvi, qui, il Gran Sovvertitore delle Regole, ovvero il Matto, che non a caso si palesa a noi privo di numero... Per celebrare l'irriverente viaggio iniziatico intrapreso da questo burlone, desidero parlarvi del culto anticamente tributato a Dioniso, il dio insano di mente per eccellenza...


I misteri dionisiaci erano i più popolari tra i culti misterici greci. Tale culto derivava da Dioniso, dio della vegetazione, dell’uva e del vino, ed era aperto a tutti, compresi gli schiavi e, soprattutto, le donne.

Dioniso era uno degli dei più venerati nell’antichità. Secondo il mito, egli era figlio di Zeus e di Semele, una donna mortale figlia del re di Tebe. Rimasta incinta, Semele chiese a Zeus di apparirle nel suo aspetto divino; quando questi le si mostrò tra tuoni e lampi, però, la donna rimase folgorata e finì incenerita. Zeus, allora, prese il figlio e lo portò sull’Olimpo. Qui Dioniso incorse nella gelosia di Era, che lo fece impazzire. Da allora il dio, ornato di edera e d’alloro, fu costretto a peregrinare attraverso le regioni dell’Africa e dell’Asia, accompagnato da un seguito di uomini (satiri) e di donne (menadi). Durante questo vagare egli incontrò Arianna, figlia del re cretese Minosse. La principessa, dopo essere fuggita da Creta insieme all’eroe ateniese Teseo, era stata abbandonata da lui sull’isola di Nasso, dove era sopraggiunto Dioniso con il suo corteo di baccanti. Il dio la sposò ed ottenne da Zeus, per lei, l’immortalità. Infine, dopo altre peregrinazioni, Dioniso giunse in Frigia, dove la dea Cibele lo liberò dalla follia, iniziandolo ai suoi misteri.

Per essere ammessi al culto dionisiaco era necessario un rito di iniziazione, che consisteva nel battesimo e nell’introduzione al tempio. Il rito doveva essere preceduto da un digiuno di dieci giorni. La cerimonia era guidata da sacerdoti: vi erano il sommo sacerdote, il “portatore del fallo”, il “portatore del latte” e il “portatore della fiaccola”. Un ruolo essenziale era, però, rivestito dalle donne: le sacerdotesse erano chiamate “tiadi” dal nome di Thya, la prima sacerdotessa del dio.


La giovinezza di Dionisojpg


Vi sono innumerevoli prove dell'esistenza del culto dionisiaco e della resistenza che incontrò, dal momento che trasformava le donne chiuse nel gineceo in menadi vibranti che fuggivano sui monti, dove simulavano la follia di Dioniso, tentando di raggiungere uno stato di estasi e di mistica esaltazione. Durante queste cerimonie le menadi portavano sul capo una corona di pampini ed indossavano pelli di animale; inoltre impugnavano il tirso, una verga intrecciata con foglie di vite o di edera. Gli uomini, abbigliati come satiri, durante la notte si recavano in peregrinazione nei boschi e nelle campagne, che percorrevano con le loro fiaccole, al suono di flauti e di strumenti a percussione. Imitavano il vagare del dio, ballando al ritmo selvaggio del “ditirambo”, il tipico canto del culto dionisiaco. Danzavano in maniera vorticosa fino al raggiungimento dell’estasi, favorito dai movimenti provocati dal tirso, la cui estremità superiore, più pesante, sbilanciava la danza e accelerava il rapimento estatico. Tutto ciò era amplificato anche dallo stato di ubriachezza degli adepti, tipico di questi riti. Nel loro stato di massima esaltazione, i fedeli si convincevano di essere posseduti dal dio.


Si narra che, quando raggiungevano il momento dell’estasi suprema, gli invasati dilaniassero a mani nude un animale e ne mangiassero le carni crude. Si tratta, però, di una leggenda del tutto priva di fondamento. C'è un sistema infallibile per riconoscere le bugie della denigrazione: basta usare il buon senso. Smembrare animali vivi a mani nude è cosa impossibile anche per uomini dotati di una forza straordinaria, figurarsi per delle normalissime donne... Ma l'origine di questa invenzione, con ogni probabilità, va ricercata nel fatto che le menadi non erano per nulla delle donne comuni: erano, invece, delle sacerdotesse che rifiutavano sdegnosamente i maschi terreni, in apparenza per unirsi a un dio ma, in realtà, per difendere i dirompenti principi della forza e della libertà femminile.

Come il Matto dei Tarocchi, anche le menadi erano “portatrici sane di follia”, e proprio come lui furono fatte oggetto di menzogne denigratorie. Ciò non può stupire, in un mondo che costantemente induce gli individui, con la violenza, con l'inganno ma anche con le lusinghe, ad “allinearsi”, ad “adeguarsi” a regole spesso prive di senso e di umanità, in nome del bene “più alto” della famiglia, della società, dello Stato e, infine, del sistema di potere dominante... Ma le menadi ci insegnano che non serve a nulla essere regine della propria casa se non si è, prima di tutto, padrone di se stesse... E il Matto ci ricorda che il Vero Saggio non è il re, bensì il povero buffone di corte...

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