Arcano XIII: Antigone, la grande Trasformatrice

L'Arcano XIII, meglio noto come “La Morte”, rappresenta un taglio netto con il passato, ovvero la necessaria distruzione delle forme ormai obsolete, e la loro trasformazione in qualcosa di nuovo: se si impedisse allo scheletro armato di falce di fare il proprio lavoro, nessun mutamento sarebbe mai possibile sul piano fisico. Il primo, inevitabile strappo che attende la vita di ognuno, è quello nei confronti delle regole imposte dai propri genitori... In seguito, probabilmente, si produrranno molte altre fratture, di tipo sia personale che sociale. Volendo considerare il tema della ribellione alle leggi e ai costumi che regolano qualunque contesto storico e sociale, appare quasi inevitabile portare ad esempio la storia senza tempo dell'eroina Antigone, raccontata da Sofocle (496-406 a.C.) all'interno della celebre tragedia omonima.

Quando si parla del mito di Antigone si ricorda la storia di una ragazza che ebbe il coraggio di contestare apertamente leggi dello Stato da lei ritenute ingiuste.

Ripercorriamo quindi la vicenda narrata da Sofocle, la quale si sviluppa come conseguenza dell’assedio di Tebe, città su cui aveva regnato Edipo, padre della stessa Antigone. In seguito alla morte di Edipo, nacquero delle contese per la successione al trono tra i due figli del re, Eteocle e Polinice. Fu infine Eteocle, cui il trono spettava di diritto, a diventare il nuovo re di Tebe.

Polinice, che non accettò di buon grado questo esito, si rifugiò ad Argo, città storicamente rivale di Tebe. Riuscì a sposare la figlia del re e si fece promettere, come regalo di nozze, la riconquista di Tebe. Durante l'assedio che ne seguì, però, Eteocle e Polinice si uccisero a vicenda, proprio come aveva augurato loro il padre Edipo che, prima di morire, li aveva maledetti poichè ciascuno di essi pretendeva di essere nominato legittimo successore.

Dopo la morte di Eteocle, a Tebe divenne re Creonte, zio della stessa Antigone. Per vendicare l’affronto fatto alla città da parte di Polinice, Creonte emanò un editto secondo il quale il corpo del traditore avrebbe dovuto rimanere insepolto sotto il sole cocente, ed essere sbranato dalle bestie. La violazione dell’editto era punita addirittura con la morte. Oltre ad essere un oltraggio, la mancata sepoltura significava nel mondo greco l’impossibilità per l'anima di accedere al regno dei defunti e, quindi, di trovare la pace eterna. Antigone, una delle figlie di Edipo nonché sorella di Polinice, non poteva sopportare che il corpo del proprio fratello rimanesse per terra, arroventato dal sole e sbranato da uccelli e animali selvatici. In aperta violazione delle prescrizioni contenute nell’editto, diede allora una parziale sepoltura al cadavere. La notizia della sepoltura di Polinice giunse al re. Per capire chi fosse il responsabile del gesto, il corpo fu nuovamente messo allo scoperto; le guardie di Creonte si appostarono nelle vicinanze e, con sorpresa, colsero Antigone nell'atto di tentare una nuova sepoltura.

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La giovane fu dunque condotta al cospetto del re, suo zio. Interrogata, rispose ammettendo senza esitazioni la propria colpevolezza; tuttavia affermò di aver violato le leggi umane perché a suo giudizio l’editto del re, che vietava la sepoltura del fratello, era contrario a quei principi espressi da leggi naturali, non scritte, che non è possibile ignorare in quanto appartengono da sempre all'intera umanità. Secondo Antigone, nessuno poteva impedire la sepoltura di un corpo, neppure se fosse appartenuto ad un traditore; e nessuno, soprattutto, poteva vietare ad una sorella di seppellire il proprio fratello.

Antigone fu imprigionata e lasciata morire di fame in carcere: non le venne comminata la pena di morte perchè nessuno avrebbe avuto il coraggio di ucciderla.

Chi non ha tentato, almeno una volta nella vita, di contrastare regole imposte da altri, ritenendole inique o vessatorie? C'è un'Antigone dentro ognuno di noi, perchè in tutti noi sopravvive, anche se spesso silenziata e mutila, la voce dell'Arcano XIII. Non sempre, però, troviamo il coraggio di impugnare la nostra falce interiore, ovvero di dar sfogo (giustamente o meno) al desiderio di sovvertire l'ordine costituito e di creare un mondo nuovo sulle ceneri di ciò che ormai non ci serve più.

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