Le coppie che fanno XXI: L'Eremita (VIIII) + L'Appeso (XII)

...approfondimento e introspezione


Entrambi i personaggi si trovano in una situazione di approfondimento e ricerca, ma mentre quello dell'Appeso è uno stato subìto passivamente, la condizione dell'Eremita è certamente volontaria: riposo forzato per il primo, crisi attiva per il secondo. Si tratta di due energie contrapposte che, incontrandosi, trovano il modo di bilanciarsi a vicenda. La condizione dell'Appeso è tipica di colui che, non comprendendo ciò che gli accade, ha come unica scelta quella di fermarsi a riflettere, senza prendere nessuna decisione e senza fare alcuno sforzo: egli rinuncia alla propria volontà, abbandonandosi nelle mani di una Volontà Superiore. L'Eremita, invece, ha scelto di trascorrere la propria vita all'insegna dello studio e della ricerca: il suo fine ultimo è il conseguimento della saggezza o, meglio ancora, dell'atteggiamento interiore di colui che sa di non sapere, uno stato che può essere definito di "santa ignoranza". La meditazione profonda dell'Appeso e l'incessante, immane lavoro dell'Eremita si arricchiscono a vicenda: la saggezza dell'Eremita serve a dare un senso all'immobilità dell'Appeso, mentre l'interiorizzazione operata da quest'ultimo è necessaria affinchè la sapienza accumulata dall'Eremita non si limiti al piano mentale ma si trasformi nella vera Conoscenza, che è essenzialmente interiore.

Si potrebbe anche dire che questi due personaggi si aiutano reciprocamente a non perdersi nella notte: senza la luce dell'Eremita, infatti, l'Appeso rischia di smarrirsi per sempre in se stesso; d'altro canto, senza l'immobilità dell'Appeso, l'Eremita potrebbe non giungere mai a una degna conclusione della propria ricerca.

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Una delle immagini più efficaci con cui è possibile esemplificare il rapporto di coppia Eremita-Appeso è quella della "notte buia dell'Anima", esperienza di cui parlano molti uomini e donne di Dio. Si tratta, certo, di una condizione di grande incertezza interiore, la cui principale difficoltà deriva dal fatto di sentirsi soli, incapaci di discernere perchè momentaneamente privi di punti di riferimento, o anche solo di appigli cui aggrapparsi. Tutto ciò che si può fare per superare la crisi è avere pazienza e non smettere mai di avere fiducia nel fatto che l'alba, un giorno, tornerà inevitabilmente ad illuminare la Coscienza.

La storia di Giobbe, raccontata nell'omonimo libro della Bibbia, è un esempio di questa condizione: Giobbe, un sapiente sceicco arabo, è sottoposto da Satana, con il permesso di Dio, a prove durissime; sicuro della propria innocenza, si domanda perchè Dio abbia deciso di punirlo come se fosse un empio. Giobbe perde tutti i suoi beni terreni e anche i suoi figli: ciò che lo angustia, però, non è la privazione materiale o affettiva, bensì il fatto di essere stato abbandonato da Dio. Tuttavia, la sua fede è così salda da indurlo ad accettare senza recriminazioni il mistero dell'agire divino. Alla fine, la sua pazienza e la sua saggezza saranno premiate con il dono di una vita lunga e colma di benedizioni.

Credo che a tutti sia capitato, almeno una volta nella vita, di sentirsi privati di qualcosa di fondamentale a livello interiore, relazionale, fisico o materiale. In un momento così difficile, si può anche arrivare a pensare che non esistano vie d'uscita. Si tratta, certo, di una condizione dolorosa e, per molti versi, indesiderabile. Tuttavia, sono d'accordo con questo bel pensiero del compianto Giorgio Faletti:

Talvolta è meglio perdersi sulla strada di un viaggio impossibile che non partire mai.